Coworking: una soluzione sostenibile

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COWORKING SOSTENIBILE - Quando si parla di sostenibilità si pensa subito a soluzioni “green”. In realtà dietro a questa parola si nasconde un significato molto più ampio che fa riferimento non solo ad una maggiore attenzione verso l’ambiente ma anche verso l’uomo. In questo contesto rientra il coworking che punta ad essere sostenibile proponendo soluzioni più attente alla salute del lavoratore e del Pianeta.

Il coworking come soluzione sostenibile

Il coworking è la condivisione di spazi di lavoro tra persone che non svolgono stesse mansioni e lo fanno per aziende spesso molto differenti tra loro. Con il coworking però coabitano uno stesso spazio lavorativo potendo tutti usufruire di servizi comuni. Questa attività permette molti vantaggi tra cui quello di lavorare in smart working, rimanendo vicino alla propria abitazione, ma non dovendo trasformare la casa in uno studio. Il dipendente ha quindi la possibilità di rimanere vicino alla propria famiglia pur essendo integrato in un ambiente lavorativo vero e proprio. Casa e lavoro rimangono così distinti.

Il coworking però implementa anche altre soluzioni sostenibili. Permette una riduzione degli sprechi, una diminuzione dei consumi, riciclo, riutilizzo dei materiali e molto alto. Mettere insieme realtà diverse permette anche di dare vita a idee innovative e che puntano alla sostenibilità per altri ambiti.

Avere spazi condivisi da lavoratori attenti a soluzioni sostenibili porta anche alla scelta di ambienti e arredi green e vantaggiosi per la salute dell’uomo e del pianeta.

Una piattaforma che rende il coworking ancora più sostenibile

Se il coworking è già di per sé sostenibile, l’idea di Sercam Advisory e Advepa Communication contribuirà a renderlo ancora più eco-sostenibile. La pandemia ci ha mostrato come lo Smart Working abbia contribuito a ridurre la congestione stradale e di conseguenza l’inquinamento atmosferico. Il rapporto di Life Prepair dimostra che nel primo quadrimestre del 2020 nell’area padana dove abita il 40% della popolazione che genera il 50% del PIL nazionale, si è registrata una “una repentina riduzione di alcune tra le principali sorgenti di inquinamento atmosferico.”

Non tutti però sono entusiasti di passare definitivamente allo smart working poiché, se da una parte è più eco-sostenibile, dall’altra perde su requisiti legati alla sostenibilità dell’ambiente di lavoro. Per questo entra in campo la piattaforma per il coworking virtuale. Si tratta di un progetto che volge a riprodurre uffici e persone con la realtà 3D. A spiegarlo meglio è il presidente di Sercam Advisory Marco Ginanneschi:

“I fruitori dello studio virtuale vengono rappresentati da avatar (con sembianze umane) che interagendo tra di loro (attraverso chat e video-chat) svolgono le normali attività d'ufficio e di confronto/incontro con i clienti di uno studio.

All’associato o alla segreteria dello studio viene assegnato non solo un avatar che lo rappresenti nello studio ma anche un software di back-end, direttamente collegato con l’ambientazione virtuale 3D, attraverso cui possano essere svolte le normali operazioni di ufficio.

Lo studio virtuale si compone della tecnologia Multiplayer che permette la compresenza degli avatar (dello studio e del cliente) nello stesso ambiente virtuale e le interazioni tra gli stessi.”

Dall’emergenzialità alla necessità

Non è più possibile tornare ad un mondo completamente uguale a quello pre-pandemia, specialmente nell’ambiente lavoro. Sono stati scoperte soluzioni che da risposta nell’emergenzialità sono passate ad essere una necessità. L’importante adesso è risolvere alcune problematiche non sostenibili a lungo termine e dare garanzie ai lavoratori.

Per saperne di più sul futuro dello smart working, clicca qui.

Smart working: dall'emergenzialità all'insostituibilità

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SMART WORKING - La pandemia ci ha messo davanti alla necessità di trasferire il lavoro dagli uffici alle proprie case. Per molti questo passaggio è stato brutale, mentre altri si sono accorti di essersi preparati a questa transizione già molto tempo fa. Questo perché le tecnologie ci avevano già mostrato come è possibile lavorare da qualsiasi posto. Se oggi lo smart working ha il vantaggio di venire incontro alle necessità dettate dalle restrizioni, ieri e domani aiuta specialmente nel poter intrecciare rapporti con clienti provenienti da tutto il mondo senza doverci muovere.

Quando si comincia a parlare di smart working in Italia

Lo smart working, affacciatosi per la prima volta nell'ordinamento italiano nel 1998, come una prima sperimentazione delle Amministrazioni Pubbliche per autorizzare forme di lavoro a distanza, ha iniziato a prendere forma con la Legge 81/2017 con una nuova disciplina che ha consentito una modalità alternativa alla prassi lavorativa tradizionale, con una immediata adozione da parte di molte aziende tecnologiche, che ne ha fatto una nuova filosofia di pensiero, con sorprendenti risultati sulla produttività derivanti probabilmente dalla condizione di "comfort zone" del dipendente che è messo in condizione di autonomia, con la possibilità di conciliare al meglio vita personale e professionale.

Senza dubbio il fenomeno della pandemia ha fatto crescere a dismisura l'adozione di una nuova modalità di lavoro, soprattutto nei servizi, che tuttora sta interessando quasi 5 milioni di lavoratori, tanto da rendere necessaria la proroga al 31.12.2021 della misura emergenziale dello smart working "semplice" senza quindi la necessità dell'accordo individuale tra azienda e addetto.

Il futuro dello smart working

Secondo l'Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano i numeri sono esponenziali: a fine 2017 gli smart worker erano 305.000, a fine 2019 avevano raggiunto la cifra di 600.000 e ad oggi il numero è cresciuto quasi dieci volte di più.

Dal 2022 sicuramente occorreranno provvedimenti legislativi che prendano in considerazione meccanismi di tutela del lavoratore con nuove forme contrattuali e retributive, dove è auspicabile un sereno confronto che potrà misurarsi in apposite commissioni composte da aziende e sindacati per monitorare l'esperienza del lavoro agile su larga scala e risolvere questioni che stanno creando dibattito in questi ultimi mesi: dalle regole per evitare la connessione permanente dei lavoratori agli strumenti informatici, al diritto di indennità per le spese sulle connessione a banda larga, al divieto di lavoro in luoghi pubblici e molti altri casi analoghi di operatività ancora da disciplinare.

Indubbiamente l'emergenzialità di inizio marzo 2020 ha cambiato profondamente la metodologia del lavoro e il modo di comunicare all'interno dell'azienda, rivoluzionando non solo i sistemi informatici in adozione ma soprattutto la fluidità dei sistemi informativi interni.

Come le aziende possono adattarsi al telelavoro

Nelle PMI, che impiegano oltre il 95% della forza lavoro nel nostro Paese, il sistema informativo risulta poco strutturato e spesso caotico in quanto se da un lato c'è una assoluta "libertà di scambio senza regole definite" dall'altra c'è la dispersione delle conoscenze provenienti dall'esterno che possono essere determinanti nelle strategie che il management vuole adottare sulle indicazioni dell'indirizzo delle politiche indicate dalla Governance.

La necessità principale sarà per le aziende quella di investire nella formazione dei lavoratori in smart working, attività che viene tra l'altro finanziata da contributi a fondo perduto che alcune regioni (in primis Lazio e Lombardia) hanno erogato efficacemente per mantenere e rafforzare le dotazioni del capitale umano sul territorio.

L'evidente contrazione dei costi per gli affitti e le utenze, dovuto alla rimodulazione degli spazi di lavoro necessari, potrebbero liberare nuove risorse da investire in competenze professionali che potranno essere fruibili in qualunque momento e soprattutto senza vincoli di spostamento, a beneficio dei bilanci aziendali che per il 2020 hanno avuto un azzeramento dei costi di viaggio e di trasferta del personale.

Nasceranno altresì nuove esigenze e occorrerà spostare l'attenzione sulle modalità alternative di team building all'interno di un gruppo, dove gli equilibri non saranno più determinati da due chiacchiere davanti la macchina del caffè, ma avranno necessità di momenti diversi di comunicazione e di aggregazione. Per saperne di più sui vantaggi degli incontri virtuali, https://finanzeinvestimenticriptovalute.it/incontri-virtuali-le-opportunita-dalla-crisi-covid-19/

Recovery Plan - Speranze o Certezze?

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RECOVERY PLAN - Speranze o certezze? - Il Bel paese sta ancora cercando di trovare la sua via di fuga dalla pesante crisi economica dovuta alla pandemia di covid-19. A tal proposito entra in gioco il Recovery Plan che in questo articolo viene spiegato dall'esperto del settore economico  Marco Ginanneschi.

Recovery Plan - Speranze o Certezze?

Finora l'unica certezza che abbiamo sul Recovery Plan è la somma delle risorse disponibili pari a 248 miliardi di euro per l'Italia, ma occorre fare chiarezza innanzitutto sui termini dei vari piani e programmi che altrimenti risulterebbero sinonimi, senza evidenziare le differenze di specie che non sono solo tecnicismi ma che aiutano a capire l'ampio panorama di risorse disponibili.

Il Recovery Plan riguarda il complesso dei progetti, comprensivi di quelli previsti dal Next Generation EU che ha la fetta maggiore con 235 miliardi ed un orizzonte temporale di utilizzo fino al 2026 ed è composto per 191 miliardi dal Recovery and Resilience Facility (RFF), per 31 miliardi dal Fondo Complementare e per 13 miliardi dal programma React-EU.

La fetta più importante di questi fondi è data dai quasi 70 miliardi di sovvenzioni, senza trascurare ovviamente l'importanza di tutta la parte restante che costituisce l'importo dei prestiti agevolati.

PNRR: Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) è articolato in 6 missioni principali:

  1. digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura
  2. rivoluzione verde e transizione ecologica
  3. mobilità sostenibile
  4. istruzione e ricerca
  5. inclusione sociale
  6. Salute 

Per il resto, per chi vuole approfondire la struttura del piano, su tutti i siti governativi abbiamo una eccellente, ma forse non altrettanto convincente, descrizione delle necessità e degli obiettivi da raggiungere, in modo minuzioso ma comprensibile.

Chi potrebbe non essere d'accordo sulle analisi di contesto nelle prime pagine? Vengono forniti con dovizia di particolari le percentuali, le statistiche e i trend sullo stato di salute (o forse sullo stato di malattia) dell'economia del nostro Paese, dell'impoverimento della popolazione, della contrazione del PIL, dell'aumento del debito pubblico, dell'aumento della disoccupazione e tutti gli altri elementi che ci fanno ancora di più ingolosire sull'opportunità, unica nel suo genere, che abbiamo per risollevarci.

Recovery Plan: solo speranze?

Il pericolo è che diventi una ciambella di salvataggio dove aggrappandoci con tutta la forza che abbiamo, rischiamo di precipitare a fondo perché siamo scomposti nei movimenti e nelle azioni. Ecco allora ancor di più la necessità non solo di capire dove intervenire, ma soprattutto le modalità che devono essere utilizzate per un coordinamento sistemico di tutto l'impianto amministrativo che deve rimettersi in moto con la semplificazione delle procedure, che non allentano ovviamente le normative di verifica, ma che ottimizzano i processi autorizzativi per istruttorie più veloci e snelle.

La speranza di tutti è di poter ripartire costruendo basi solide su cui far atterrare i progetti descritti nel PNRR presentato dall'Italia e non rischiare che possa rimanere solo il "libro dei sogni" non realizzato.

In questi ultimi giorni assistiamo allo scontro politico nel dilemma: riforme ora o riforme ad un prossimo governo politico?

Ancora una volta la miopia della classe politica ci sta portando all'autodistruzione, come dimostrato dall'andamento del PIL italiano degli ultimi venti anni pre-covid rispetto agli altri paesi europei. E' proprio questo che non funziona! Siamo un paese diviso che non riesce ad essere unito nemmeno nelle situazioni emergenziali, quando si rischia di perdere tempo sul colore della pettorina da indossare quando la gara è già cominciata e tutti gli altri stanno correndo.

Recovery Plan: alcune osservazioni

Una sola considerazione: possibile che quando si parla di riforme occorre parlare di fare tutto insieme? Fisco, giustizia, sanità, scuola, politiche sociali, sappiamo benissimo di essere indietro su tutto ma se cominciamo a voler fare tutto insieme si rischia come al solito di non far nulla.

In questo momento occorre solo metter mano sulla semplificazione amministrativa e sul codice dei contratti pubblici (che molti amano chiamare, in gergo poco tecnico, codice degli appalti) se vogliamo utilizzare in maniera efficace ma soprattutto efficiente i fondi che sono stati stanziati.

La speranza di tutti è di poter ripartire costruendo basi solide su cui far atterrare i progetti descritti nel PNRR presentato dall'Italia e non rischiare che possa rimanere solo il "libro dei sogni" non realizzato.Per approfondimenti riguardo al mondo del lavoro, clicca qui

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Aiuti di stato: davvero utili?

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AIUTI DI STATO - Maggio 2021: la crisi economica dovuta alla pandemia di covid-19 imperversa globalmente affligendo ancora il bel paese che cerca con tutte le sue forze di rialzarsi. Ad affrontare la delicata questione degli aiuti di stato e dei sussidi abbiamo un esperto del settore economico:  Marco Ginanneschi.Le politiche economiche nel corso del tempo hanno degli impatti spesso molto diversi da quelli auspicati dagli interventi legislativi perché le variabili sono molte e non sono prevedibili i tempi e le risposte del mercato, con la manifestazione, molto spesso, di effetti distorsivi che possono ridurre drasticamente i benefici attesi.

Il nodo cruciale degli ultimi mesi della pandemia, tra “potenze di fuoco” e le versioni infinite dei “decreti ristori”, oltre alla affannosa corsa all’aggiornamento in tempo reale, a carico di professionisti del settore e imprese, sta creando gli effetti desiderati per ridurre i danni sull’economia reale?

La sfida è appena cominciata: riusciremo ad utilizzare in maniera adeguata e trasparente oltre 220 miliardi di euro in 6 anni, quando nell’ultimo settennato di programmazione 2014-2020 abbiamo speso neanche la metà di circa 48 miliardi?

Il mondo produttivo sembra affondare sempre di più nelle sabbie mobili della burocrazia che prolunga i tempi di attesa dei sussidi, finora visti come l’unica boccata di ossigeno per la sopravvivenza aziendale. Probabilmente dimentichiamo troppo spesso che per l’azienda non è sufficiente la sopravvivenza, quanto il “going concern” che dovrebbe avere basi solide per proiettare sviluppo e crescita.

Aiuti di stato: misure emergenziali

La visione prospettica risulta appiattita, gran parte degli imprenditori sono costretti a rincorrere le misure emergenziali che stanno facendo piegare la testa sulle esigenze primarie e contingenti togliendo lo spazio necessario alla programmazione di una strategia anche solo di medio termine.

Gli aiuti di Stato, erogati a pioggia e in maniera confusa sembrerebbero prolungare delle agonie già iniziate in epoca pre-covid, in quanto la nostra memoria, troppo spesso di breve termine, sembra aver oscurato il fatto che abbiamo avuto quasi un decennio di crescita attorno allo zero del nostro PIL.

Se guardiamo alla capacità di spesa dei fondi europei troviamo la vera risposta: l’Italia nel ventennio preCovid preso in considerazione è al penultimo posto in Europa sulla capacità di spesa dei fondi assegnati e per giunta troppo spesso impiegati su progetti che non hanno causato benefici economici attesi di medio-lungo termine.

Se l’obiettivo è quello della sopravvivenza allora le misure adottate possono essere condivisibili, ma se abbiamo la capacità di guardare verso un orizzonte diverso allora occorre rilanciare le infrastrutture energetiche, lo sviluppo tecnologico, la salvaguardia per l’ambiente e soprattutto le politiche per adeguate tutele sociali.

Queste sono tutte macrotematiche presenti nel documento presentato in UE per i fondi Next Generation che potrebbero provocare in Italia un “secondo rinascimento”.

La sfida è appena cominciata: riusciremo ad utilizzare in maniera adeguata e trasparente oltre 220 miliardi di euro in 6 anni, quando nell’ultimo settennato di programmazione 2014-2020 abbiamo speso neanche la metà di circa 48 miliardi?

Parola d’ordine: sburocratizzazione

Velocemente occorre sburocratizzare i tempi di risposta delle PA attraverso procedure più snelle e trasparenti con una revisione anche del codice dei contratti pubblici che dovrebbe almeno avvicinarsi a criteri di funzionamento degli altri paesi europei più virtuosi.

Perché dal 1999 al 2019 l’Italia ha una crescita del PIL inferiore all’8%, quando Spagna, Francia, Inghilterra e Germania hanno raggiunto una crescita tra il 32 e il 43%?

Se guardiamo alla capacità di spesa dei fondi europei troviamo la vera risposta: l’Italia nel ventennio preCovid preso in considerazione è al penultimo posto in Europa sulla capacità di spesa dei fondi assegnati e per giunta troppo spesso impiegati su progetti che non hanno causato benefici economici attesi di medio-lungo termine.

La strada maestra quindi è una efficace programmazione coinvolgendo gli stakeholders sul territorio attraverso brevi e incisive fasi di pubblica consultazione, una attenta verifica sullo stato di avanzamento dei progetti ed infine una puntuale rendicontazione delle risorse utilizzate, diversamente rischieremo di avere in mano una potente fuoriserie senza le istruzioni d’uso per la guida. Per non sbandare alla prima curva, questo periodo di preparazione sarà fondamentale per testare tutte le competenze che possiamo mettere in campo.

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Strumenti innovativi nelle governance delle PMI

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Strumenti innovativi nelle governance delle PMI - In questo articolo Marco Ginanneschi, Dottore Commercialista, Revisore legale, e docente nel Corso di Laurea in Business Management alla Link Campus University, affronta l'argomento dell'innovazione nelle governance delle Piccole Medie Imprese.

Strumenti innovativi nelle governance delle PMI

Quando si parla di Governance si pensa sempre ai modelli delle grandi Holding multinazionali o alle SpA, mentre in realtà il concetto è molto più ampio ed interessa soprattutto le PMI che vogliono raggiungere una gestione virtuosa della propria azienda.

Il primo grande scoglio per i piccoli imprenditori italiani che sono al timone della propria azienda e la identificano con la propria persona, è quello di avere diffidenza nell'immaginare la separazione tra la proprietà della società e la sua gestione.

L'attuale emergenza economica evidenzia in misura sempre più forte la necessità di ricorrere ad interventi mirati e specialistici che siano in grado di andare incontro non solo ad una innovazione di prodotto quanto ad una innovazione nei processi e negli approcci gestionali ormai profondamente diversi dagli schemi finora utilizzati.

Un grande imprenditore non sempre riesce ad essere anche un grande manager, in quanto sono ruoli ben distinti che nascono da una formazione diversa e sempre più specialistica.
L'intuito e le grandi idee dell'imprenditore non coincidono con i requisiti di una strategia di mercato o di valutazione dei rischi che sono prerogative dei manager d'azienda.

La particolarità delle società di capitali è proprio quello di essere degli autonomi soggetti giuridici che consentono di realizzare l’oggetto sociale dei soci che le hanno costituite. Molte società, infatti, sono amministrate da soggetti diversi rispetto ai soci, ai quali restano, comunque doveri e poteri di controllo sulla gestione.

Sistemi di governance

Proprio per suddividere la proprietà dal controllo delle società, nascono i sistemi di Governance. Per quanto riguarda le PMI i principi di Governance devono essere una fonte di ausilio ai costi che una struttura organizzata e strutturata comporta per i principi di efficacia e di efficienza nelle gestione delle risorse di capitale umano e capitale finanziario.

A tal proposito la tecnologia ci consente di minimizzare i costi aumentando il livello di sicurezza aziendale attraverso la creazione o l'implementazione di un adeguato sistema di controllo interno, che deve essere basato su controlli di primo livello e la formalizzazione della loro struttura, la segregazione delle responsabilità, la tracciabilità dei dati e delle informazioni (con l'introduzione e l'utilizzo della blockchain), la verifica del raggiungimento dei KPI (Key Performance Indicator), e una adeguata informativa economica-patrimoniale e finanziaria con cadenza almeno trimestrale.

L’importanza degli strumenti innovativi

Nell'era della crisi pandemica è sotto gli occhi di tutti l'importanza di adottare strumenti innovativi anche di livello comunicativo che permettono un'informazione costante e periodica da parte del consiglio di amministrazione a tutti i soci tramite l'utilizzo di una reportistica specifica, di fondamentale importanza per la prevenzione e l'eventuale gestione dei conflitti di interesse tra la proprietà e la dirigenza.

L'attuale emergenza economica evidenzia in misura sempre più forte la necessità di ricorrere ad interventi mirati e specialistici che siano in grado di andare incontro non solo ad una innovazione di prodotto quanto ad una innovazione nei processi e negli approcci gestionali ormai profondamente diversi dagli schemi finora utilizzati.Per approfondimenti riguardo alla situazione economica italiana cliccare qui.

Economia italiana: parla Marco Ginanneschi

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ECONOMIA ITALIANA MARZO 2021 - In un clima di crisi globale dovuta alla pandemia di covid-19, l'Italia sta cercando di rialzarsi attraverso nuove riforme. Una grave crisi di governo ha caratterizzato la politica italiana e influenzato l'economia del bel paese, lasciando spazio a riflessioni su quella che è la situazione attuale. Ad affrontare la questione abbiamo un esperto del settore economico:  Marco Ginanneschi.Dottore Commercialista, Revisore legale, e docente nel Corso di Laurea in Business Management alla Link Campus University.

Per la sua notevole esperienza aziendale, come innovation manager nel mondo economico, ci rivolgiamo a lui in questa intervista con lo scopo di analizzare la situazione dell’economia italiana, afflitta dalla crisi dovuta alla pandemia globale, ponendo l’attenzione sui cambiamenti di governo e le nuove riforme.

Attualmente l'Italia sta attraversando un periodo di crisi persistente al quale si cerca di trovare una soluzione che sembra ancora non arrivare. Da un punto di vista economico, pensa che si stiano mettendo le basi per una ripartenza economica adeguata?

Per superare la più grande crisi economica dal dopoguerra a oggi, occorre porre le basi per ricominciare a ricostruire un Paese su criteri totalmente diversi, da un lato con una forte sburocratizzazione, che non significa un allentamento delle regole o delle attività di controllo, quanto invece una rapida e flessibile evoluzione delle procedure che possano ridurre i tempi decisionali con interventi mirati alle necessità contingenti, dall’altro un forte impulso sulle attività di rinnovamento delle infrastrutture strategiche che consentirebbero un rilancio produttivo immediato di cui beneficerebbero in pratica tutti i settori.

Sarebbe necessario rivedere il codice dei contratti pubblici ed immaginare dei tempi decisamente diversi per le varie fasi procedurali per l’aggiudicazione di un appalto pubblico e dei relativi tempi di realizzazione. L’esempio che il “miracolo italiano” può avvenire lo abbiamo già avuto, e non mi riferisco al boom economico degli anni sessanta, quanto piuttosto al Ponte di Genova che è stato progettato, realizzato e collaudato in meno di due anni dal crollo. Per un buon funzionamento della macchina amministrativa non è necessario agire in deroga alle regole con la nomina del Commissario Straordinario di turno, quanto la capacità di riscrivere nuove regole che siano al passo con la velocità dell’economia alla quale siamo abituati oggi.

Il peso della burocrazia, secondo uno studio in epoca pre-covid di Assolombarda, fa perdere almeno quattro punti di fatturato alle aziende, e la riduzione di un simile carico sarebbe ancor più benefico rispetto ad una pari riduzione percentuale dell’attuale carico fiscale.

Per ultimo basta immaginare, nonostante i decreti emergenziali, l’attesa di molti mesi per le aziende che hanno beneficiato dei ristori o dei tempi lunghi per ricevere la cassa integrazione per i lavoratori che rappresentano la categoria che merita una maggiore tutela sociale.

Con la crisi di governo di gennaio che ha portato alle dimissioni dell’ormai ex premier Conte e l’insediamento del nuovo governo Draghi, secondo Lei ci sono state ripercussioni economiche che hanno aggravato ulteriormente la situazione economica già precaria?

L’economia italiana, che già ha attraversato un ridimensionamento dal 2009 in poi, con crescita del PIL annuale di qualche frazione di punto decimale oltre lo zero, ha subito uno shock dovuto alla pandemia che ha ridimensionato gravemente interi settori produttivi, i quali effetti purtroppo, saranno visibili solo nei prossimi mesi quando cesserà lo stop ai licenziamenti e si faranno i conti definitivi dei posti di lavoro persi.

Non credo sia un problema politico, ma un problema di competenze e l’esperienza degli ultimi anni ci insegna che l’onestà è un prerequisito irrinunciabile alla quale deve essere necessariamente abbinata una grande capacità di visione strategica e di conoscenza degli effetti che può causate ciascun intervento normativo.

Siamo abituati infatti ad una bulimica produzione normativa alla quale non corrisponde spesso l’efficacia desiderata e questo denota l’ignoranza (nel senso latino del termine) delle complesse dinamiche dell’economia italiana.

Ovviamente l’attuale governo è composto, almeno per le “caselle strategiche” riguardanti l’economia, da referenziatissimi professionisti di fama internazionale e la speranza è che ci siano finalmente interventi coraggiosi e risolutivi per affrontare una situazione non solo emergenziale, ma di vera e propria ricostruzione.

Si è parlato molto dei bonus istituiti nei mesi passati, spesso criticati perché non sufficienti a coprire i mancati guadagni dei lavoratori. Pensa che questo tipo di strumento economico sia uno strumento efficace oppure crede che sia necessario implementarlo?

I bonus dei mesi passati sono stati importanti per tamponare una situazione imprevista, della quale non si potevano conoscere, almeno nella fase iniziale, tempi ed effetti.

Con il passare del tempo si è presa consapevolezza che occorrono interventi strutturali, dopo un primo soccorso per tenere in vita le speranze di una ripresa, ci si aspettano delle soluzioni diverse. I benefici a pioggia non sono sufficienti e soprattutto rischiano con il tempo di essere dispersivi e di creare anche degli effetti distorsivi nel libero mercato.

La ripartenza parte dalla progettazione di un nuovo modo di lavorare, non solo con lo smart working ma di una logica che consenta di fare “nuove economie” sugli spazi dedicati al lavoro (almeno nella categoria dei servizi), sull’energia, sui trasporti, che generano automaticamente nuove modalità di consumo e liberano ulteriore capacità reddituale.

Non è un caso che i risparmi nel 2020 siano aumentati in termini assoluti e questo è un indice che va in controtendenza rispetto alla disastrosa situazione economica.

Ci potrebbero essere quindi nuove premesse per rilanciare gli investimenti da parte dei privati che al momento risultano più timidi per la situazione di incertezza che si è creata.

I nuovi investimenti dovranno sostenere inevitabilmente la digitalizzazione, l’industria 4.0, l’automazione industriale, la robotica, la blockchain, l’intelligenza artificiale e le nuove reti di comunicazione.

Cosa ne pensa del Next Generation Eu?

L’Italia ha un’occasione unica nella storia dai tempi del Piano Marshall.

Il 2021 ha una particolare “congiuntura astrale” dovuta all’inizio della nuova agenda di programmazione 2021-2027 e dai fondi per il Next Generation Eu.

I prossimi mesi saranno determinanti per posizionare strategicamente nei capitoli di spesa le risorse disponibili. Anche i più convinti antieuropeisti forse stanno maturando l’idea che, se non ci fosse un sostegno sovranazionale sarebbe molto difficile uscire con le proprie forze da una crisi di dimensioni mondiali.

I nuovi investimenti dovranno sostenere inevitabilmente la digitalizzazione, l’industria 4.0, l’automazione industriale, la robotica, la blockchain, l’intelligenza artificiale e le nuove reti di comunicazione.

Abbiamo a portata di mano l’opportunità di un secondo Rinascimento, solo se le capacità di utilizzare i fondi non seguano gli esempi degli anni passati, dove l’Italia risulta essere tra i paesi europei con il più scarso utilizzo; un dato su tutti: nella programmazione 2014-2020, ormai prossima alla chiusura, su circa 48 miliardi disponibili, sono stati effettivamente spesi circa la metà e questo denota quante occasioni nel corso degli anni abbiamo perso. Solo sul Recovery Fund, la quota spettante all’Italia è di 209 miliardi e per avere la capacità di spesa occorre prima di tutto avere un piano di intervento per gli investimenti strategici e preliminarmente riscrivere le regole per la sburocratizzazione delle procedure nelle quali siamo purtroppo inevitabilmente intrappolati.

In relazione al Next Generation Eu, secondo Lei, quali potrebbero essere i punti su cui si concentrerà l’Italia con la prima scadenza del 30 aprile 2021?

Gli obiettivi del Next Generation EU ormai cominciano a delinearsi in contorni sempre più precisi e le aree di intervento per l’Italia saranno quelle della crescita sostenibile, con un nuovo approccio sul digitale, una nuova efficienza nella produttività nel rispetto dell’ecologia, lo sviluppo delle smart city, l’incentivazione della circular economy con l’adeguamento dei sistemi di gestione delle risorse, il riutilizzo delle materie prime, la riconversione industriale con criteri tecnologici. La ricetta vincente sarà quella di saper coniugare nuovi modelli lavorativi con l’attenzione al sociale e al rispetto delle regole per nuovi scenari di vita che si profilano all’orizzonte.

Pensa che l'Italia possa riuscire ad avere una minima ripresa dell’economia nei mesi a venire?

Nel breve termine purtroppo non sembrano esserci segnali incoraggianti, almeno fino all’arrivo dei mesi estivi. La speranza è che l’efficacia delle politiche sanitarie messe in campo, possa dare entro fine anno i suoi frutti, ma in molti casi il modello di lavoro che avevamo in epoca pre covid non sarà più lo stesso.

Alcuni pensano che sia solo un black-out e che al termine della pandemia tutto tornerà come prima, ma in realtà, ad oltre un anno di distanza, occorrerà trarre tirare le conclusioni ed intercettare nuove opportunità in un mondo economico in rapido cambiamento che non lascia spazio a nostalgie di un passato che ormai diventerà storia e non più attualità.

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