Icona di facebookIcona di InstragramIcona del social X

Alessio Aiani: "L’innovazione deve tener conto dei modelli descrittivi delle riflessioni"

24 Agosto 2022
- Di
Alessio
Cartello con scritto chiaramente Innovation e vari simboli
Tempo di lettura: 3 minuti

ALESSIO AIANI INNOVAZIONE - Abbiamo intervistato Alessio Aiani, Consigliere delegato di Unione Italiana Vini laboratori. Tema del suo intervento le necessità di un'azienda in correlazione con i bisogni mutevoli dei consumatori. Queste sono le sue parole. 

Alessio Ainai: cosa si intende per innovazione?

Rispondo con un virgolettato ripreso durante un recente corso di approfondimento: 

“L’innovazione è diventata la religione industriale della fine del xx secolo. Le imprese la vedono come lo strumento chiave per aumentare profitti e quote di mercato. I governi si affidano ad essa quando cercano di migliorare l’economia. …. Ma cosa precisamente sia l’innovazione è difficile dirlo, ancora di più misurarlo” (Economist, 20 febbraio 1999)

Come può quindi un’impresa avvicinarsi quindi al tema dell’innovazione?

Sicuramente, il punto fermo da cui partire, se un’impresa for profit intende apportare un’innovazione sul mercato, è la conoscenza della domanda. È indispensabile uno studio approfondito del consumatore ed in particolare del proprio target.

È necessario analizzare quali siano i suoi “bisogni” ma anche la sua “razionalità”, intesa come l’insieme delle riflessioni collegate ad una decisione di acquisto.

Come si sono evoluti i bisogni dei consumatori?

Nelle prime fasi di sviluppo dell’economia capitalistica il benessere veniva identificato con il possesso di beni materiali. Questo perché un’ampia fascia della popolazione doveva ancora soddisfare i propri bisogni primari.

Oggi, nelle società avanzate post-industriali, la gerarchia tradizionale dei bisogni è messa in discussione. Tra le molteplici concause, è interessante analizzare il fenomeno dell’orientamento dei processi di evoluzione delle preferenze messo in atto dalle imprese for profit. È esplicativo, in tal senso, il mutamento della comunicazione pubblicitaria; è passata dal promuovere il semplice soddisfacimento dei bisogni primari, al propagandare di processi di costruzione identitaria.

Di conseguenza, è variata la classificazione dei beni economicamente rilevanti. Il mercato si è evoluto da una logica di semplice acquisto verso una logica identitaria, in cui le scelte del consumatore sono orientate alla ricerca di beni dotati di elevato valore esistenziale.

“Il ruolo dei beni nel post industriale è quello dei segni: esiste un codice culturale che associa ai beni un determinato significato che qualifica il ruolo di questi nella vita del soggetto e la ragione per cui vengono desiderati”. (Sacco e Viviani 2003).

In sostanza, nelle società post-industriali è cambiato il significato delle scelte individuali e delle strutture motivazionali che le sorreggono.

Quali sono questi “nuovi” beni che soddisfano i bisogni identitari?

Una categoria di “nuovi” beni è quella dei “beni posizionali” quali ad esempio i beni di lusso, l’istruzione superiore, la notorietà. Tali beni rappresentano il benessere economico espressione di una socialità strumentale, e soddisfano il bisogno di posizionamento in una società di bisogni identitari.

Va da sé che la necessità di acquisto di questi beni è strettamente collegata al gruppo sociale di riferimento, oltre che al posizionamento dell’individuo all’interno dello stesso. Per assurdo: Robinson Crusoe sull’isola deserta sicuramente non avrebbe mai necessitato di beni posizionali. Semplicemente per il fatto che non c’era nessuno che ne osservasse il loro consumo.

La domanda di tali beni non può essere soddisfatta semplicemente da una crescita nel livello assoluto di ricchezza, poiché assume fondamentale importanza il valore relativo del bene.

Per capire meglio il significato di un bene posizionale proviamo a rispondere al seguente quesito. “E’ meglio vivere in una casa da 100 mq quando i vicini ne possiedono una da 200 mq, oppure è meglio vivere in una casa da 75 mq quando in vicini ne possiedono una da 50 mq?”

La seconda alternativa è sicuramente quella prescelta in una logica di tipo posizionale, laddove, per il decisore, assume maggior importanza il valore relativo rispetto al valore assoluto del bene.

I beni posizionali hanno dunque una duplice valenza per il consumatore. Dal un lato consentono l’identificazione con il proprio gruppo di riferimento, dall’altro marcano la differenziazione rispetto al resto della società nel suo complesso.

In conclusione, il processo che porta all’innovazione all’interno di una impresa for-profit non può non tener conto dell’evoluzione dei modelli descrittivi delle riflessioni collegate alle decisioni di acquisto da parte dei consumatori.

LEGGI ANCHE ---> Alessio Aiani: Il rumore nelle decisioni aziendali

Tempo di lettura: 2 minuti

ALESSIO AIANI RUMORE DECISIONALE - “Errare è umano”, ce lo siamo sentiti dire molto spesso, ma non per tutti e non in tutte le situazioni sbagliare ha lo stesso peso e lo stesso valore. Inoltre spesso siamo condotti all’errore per cause esterne, in apparenza anche fuori dal nostro controllo. A volte queste cause prendono il nome di ‘rumore decisionale’ e Alessio Aiani ci propone alcune indicazioni a riguardo. 

Cos’è il rumore inteso come disturbo decisionale

Quando prendiamo una decisione, ogni giorno, a noi sembra qualcosa di automatico, ma in realtà può avere un peso enorme decidere perché tale attività è correlata a una serie di fattori di cui non abbiamo la minima idea. Il rumore, riassume questi fattori, il rumore è l’eccessiva variabilità di un giudizio quando lo si confronta con un gruppo di persone, in altre a parole il rumore determina l’errore di un giudizio.

Il libro di Kahneman denominato appunto “il rumore” spiega attraverso delle indagini scientifiche e dimostrazioni effettive, come un giudizio difficilmente sia privo di rumore e quindi sia privo di errore. È importante sottolineare, che aspirare a eliminare il rumore nel giudizio umano, non significa eliminare la diversità di opinione. Quella è necessaria per la crescita di qualsiasi entità anzi si concretizza nel confronto tra le diversità di opinione uno dei principali sistemi per ridurre il rumore.

Il ruolo del rumore nelle scelte aziendali  

In qualsiasi decisione e quindi anche nelle decisioni aziendali è opportuno considerare il rumore. Non dovrebbe succedere che lo stesso manager prende una decisione diversa a seconda del momento della giornata; non dovrebbe accadere ma accade.

L'esperienza insegna che sono decine gli ambiti in cui le decisioni dovrebbero essere dettate da criteri oggettivi, spesso però la realtà è diversa dalla teoria, e questo è colpa anche del rumore. Evidente è l’impatto negativo di situazioni di questo tipo sia sull’organizzazione in generale che sulla capacità di espressione della leadership del manager.

Alessio Aiani su come si può eliminare il rumore decisionale 

La possibilità di limitare l’errore di giudizio parte dalla consapevolezza che il nostro giudizio può essere influenzato da una grande quantità di fattori di cui non abbiamo contezza.

Gli strumenti che possiamo utilizzare per eliminare il rumore sono molteplici, alcuni sono più scientifici quali “gli algoritmi” che in modo razionale sostituiscono alcune parti del processo decisionale, con la consapevolezza che tale strumento ha il difetto di far perdere l’empatia e la coscienza di chi giudica.

Una altra strada è quella di appellarsi alla cosiddetta “saggezza della folla.” La saggezza della folla riduce il rumore nella decisione in quanto riassume in un unico pensiero la moltitudine di pensieri delle persone che fanno parte della folla stessa; La “folla” è molto più intelligente della persona più intelligente che ne fa parte e le migliori decisioni, pertanto, nascono da una discussione di più persone e dal confronto.

LEGGI ANCHE —> Alessio Aiani ci parla della Gestione Strategica di impresa

Tempo di lettura: 2 minuti

ALESSIO AIANI GESTIONE STRATEGICA - Gestire un’azienda non è semplice, specialmente in Italia dove la burocrazia è più tortuosa del labirinto del Minotauro. Esistono però vari strumenti che possono agevolare il lavoro di un imprenditore. Alessio Aiani, Consigliere delegato di Unione Italiana Vini laboratori ci introduce un concetto fondamentale: la Gestione Strategica di impresa

Alessio Aiani: “Partiamo da: cosa è e a cosa serve la Gestione Strategica”

La strategia è il governo delle relazioni impresa-ambiente, attraverso le azioni necessarie per il conseguimento degli obiettivi o comunque per il miglioramento della performance. Un aspetto importante nella qualificazione del rapporto tra aziende e ambiente consiste nella rilevanza assunta dalla competizione, intesa come una interazione tra soggetti dove esiste una limitazione nelle risorse impiegabili e la probabilità di realizzare gli obiettivi di ciascuno è ridotta a causa della presenza e delle azioni degli altri. 

Maggiore l’intensità competitiva maggiore il fabbisogno strategico delle imprese.

Un altro aspetto importante da considerare nella relazione impresa-ambiente è la sua complessità. I sistemi complessi sono caotici. Nei sistemi caotici il contesto decisionale si confronta con la gestione del rischio collegato ad accadimenti già avvenuti di diverse probabilità ma anche con l’intensificarsi della incertezza che genera shock, eventi non presti e non prevedibili. Anche l’incertezza ha contribuito all’ingresso della strategia nella gestione aziendale, la crescita della connettività sempre crescente ha aumentato il grado di incertezza ed il fabbisogno strategico. La strategia quindi è un modello di comportamento scelto per regolare il rapporto tra azienda e ambiente. La strategia aziendale è la risposta alla complessità che caratterizza il rapporto tra impresa e ambiente. Inoltre permette di non trovarsi a dover prendere decisioni nel quotidiano senza una visione di insieme a cui far convergere tali decisioni. 

Differenze tra Gestione Strategica e Operativa

La gestione operativa o caratteristica di un'azienda è costituita dalla sua attività tipica o core business, o meglio l'attività principale svolta allo scopo di produrre utili. Si riferisce a tutti quei processi aziendali che concernono la sua missione principale, i suoi prodotti, i suoi servizi, il suo impatto sulla realtà circostante.

In un'azienda industriale, la gestione operativa è composta dai processi industriali e commerciali: acquisto delle materie prime, loro trasformazione in prodotti, vendita degli stessi prodotti. In questo esempio, la gestione operativa si concentra principalmente nel massimizzare l'efficienza produttiva dei beni e nel massimizzarne la vendita. Nel conto economico, il risultato di tale gestione è il reddito operativo, vale a dire i ricavi ottenuti dalla vendita dei beni prodotti o dei servizi erogati dalla società stessa meno i costi sostenuti per produrli.

La strategia è il governo delle relazioni impresa-ambiente, attraverso le azioni necessarie per il conseguimento degli obiettivi o comunque per il miglioramento della performance. La strategia guida la gestione operativa.

Tempo di lettura: 4 minuti

ALESSIO AIANI GESTIONE RISCHIO - Con gestione del rischio definiamo il processo di identificazione e valutazione dei rischi e la creazione di un piano che consenta di contenere o tenere sotto controllo quelli individuati e le loro conseguenze ripercuotibili. Un rischio è una potenziale perdita o danno, ed è ascrivibile a molteplici ambiti. Vediamo insieme come applicarlo e perché è importante farlo. 

I metodi della gestione del rischio l'analisi di Alessio Aiani

Senza entrare nel merito di ogni tipologia di rischio – che varia a seconda di ogni azienda ed impresa – ciò che serve per realizzare una corretta gestione del rischio è la conoscenza dei diversi approcci. 

Naturalmente la decisione rispetto a questi dipende da numerosi fattori, interni ed esterni all’azienda. Nonostante ciò è possibile adoperare diverse strategie:

  • non assunzione del rischio: è la soluzione più semplice che prevede, in presenza di un certo rischio, di non perseguire la strada che potrebbe condurre verso quel rischio stesso;
  • prevenzione rispetto al rischio: attraverso questa strategia si lavora sulla riduzione dei fattori negativi potenziali e a favorire i fattori favorevoli;
  • protezione dal rischio: questa strategia prende di mira gli scenari più sfavorevoli per l’azienda e cerca di tamponare le perdite nel caso che questi si realizzino;
  • assicurazione dal rischio: questa strategia consente, dietro il pagamento di una certa somma, di trasferire il rischio a un altro soggetto;
  • ritenzione del rischio: è la definizione tecnica del cosiddetto “rischio calcolato”, cioè quella strategia nella quale si mette in conto un certo rischio senza tuttavia assumere alcuna strategia preventiva, perché giudicato inutile o non conveniente.

Le fasi di applicazione del risk management

Per poter applicare nella maniera corretta il risk management è necessario seguire determinate fasi. Eccole elencate di seguito  

  • step 1 – Definizione del rischio. Vanno innanzitutto identificati i rischi per la singola organizzazione e il loro allineamento con gli obiettivi strategici.
  • step 2- Mappatura del rischio. A livello accademico vengono definite 4 tipologie principali di rischio che andranno a guidare il successivo sottofase di risk assessment: rischi strategici, operativi, di compliance, rischi di natura economico-finanziaria. Il risk assessment prevede che, identificati i rischi che limitano o inficiano il raggiungimento degli obiettivi, per ciascuno si debba valutare la natura dell’impatto che può essere positivo o negativo e la sua probabilità di accadimento.

Il valore del rischio deriva dal prodotto tra probabilità e impatto:

un evento ad alto impatto ma bassa probabilità potrebbe dunque produrre un rischio basso e viceversa. Di questa fase fa parte anche la definizione del risk appetite che, definito a livello di vertice, indica la propensione al rischio dell’organizzazione, in stretta connessione con la strategia aziendale. In pratica definisce la soglia massima di rischio alla quale l’azienda vuole esporsi senza compromettere il proprio business.
Se per qualche ragione il rischio (calcolato come probabilità per impatto) dovesse superare la soglia di risk appetite, si dovrà passare alla successiva fase di risk management.

  • Step 3- Risk management. È l’attività che permette di mitigare il rischio nel momento in cui il suo valore supera il risk appetite. Serve a riportarlo sotto la soglia di tolleranza, eliminando il rischio in eccesso. Si possono adottare diverse strategie, come la cessione del rischio o il cambiamento di prassi e procedure aziendali, con varie modalità di trattamento del rischio per produrne l’abbassamento.
  • Step 4 – Reporting di comunicazione del rischio residuo. Il nuovo valore del rischio, ricalcolato dopo le misure di mitigazione, va comunicato al top management.
    Si passa dal cosiddetto rischio inerente (calcolato al netto delle misure di sicurezza e mitigazione) del rischio residuo (che comunque permane, nonostante l’applicazione delle misure di mitigazione).

Il vertice aziendale sarà responsabile della decisione finale soprattutto nel caso in cui non si sia riusciti, nelle fasi precedenti (di risk assessment e risk management), nel bilanciamento fra minacce e opportunità.

  • Step 5 – Monitoraggio. Rappresenta la fase finale anche se non conclusiva, visto che il rischio è mutevole nel tempo. Nel mondo del risk management, vale, infatti, il concetto di continuous improvement, al variare delle condizioni aziendali o del settore.

Rischio operativo 

Il rischio operativo è definibile come il rischio di perdite derivanti dall'inadeguatezza o dalla disfunzione di procedure, risorse umane, sistemi interni oppure da eventi esogeni. 

Ridurre il rischio operativo significa riorganizzare i processi di controllo interni dell’azienda in modo da rispondere in maniera puntuale ed efficace ai mutamenti di mercato. Le aziende devono quindi poter riconoscere i segnali di un’anomalia e di un incidente in rotta di collisione con l’impresa. 

Ciò implica, innanzitutto, identificare i Key Risk Indicators che permettano di monitorare regolarmente i fattori che più influenzano l’andamento dell’azienda. Quidni abilitino una prospettiva ad ampio raggio su cosa funziona e cosa invece va corretto.

I Key Risk Indicators sono dinamici: soprattutto in un momento di profondo cambiamento sociale, urbanistico ed economico, devono essere aggiornati per ridefinire le priorità.

L’importanza della gestione del rischio per un’azienda - Alessio Aiani

Le diverse attività che fanno parte del RM possono condurre le aziende verso la crescita e l’efficientamento dei processi che le compongono. Questo genera un miglioramento della performance aziendale. Quindi, oltre a sottolineare la funzionalità delle pratiche attinenti al controllo aziendale, il RM può diventare una spinta propulsiva.

Affrontare la gestione del rischio, prima di tutto, significa condurre una corretta analisi sull’azienda. Verificare, cioè, l’organizzazione della stessa, le priorità, la collocazione delle risorse umane e finanziarie. Il risk management, tenuto presente questo, pertanto può essere definito come:

Un insieme di attività, metodologie e risorse coordinate per guidare e tenere sotto controllo un’organizzazione in riferimento ai rischi della stessa.

Attraverso questo, pertanto, è possibile sia prevenire gli eventuali effetti negativi del rischio aziendale, sia ottimizzare l’efficienza operativa dell’azienda stessa. 

LEGGI ANCHE ---> Audit finanziario spiegato da Hamid-Reza Khoyi

Icona di facebookIcona di InstragramIcona del social X
Copyright @Finanze Investimenti Criptovalute